Come cambia il licenziamento dopo la riforma del lavoro
Una delle novità più discusse e controverse introdotte dalla recente la riforma del lavoro (Legge 28 giugno 2012, n. 92), riguarda la disciplina dei licenziamenti nelle imprese con più di 15 dipendenti, che ha trasformato il famigerato articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Oggi si dice che con la riforma le aziende siano più libere di licenziare, in realtà non le cose non stanno proprio così. Vediamo quindi di fare un po' di chiarezza.
I motivi che giustificano un licenziamento sono in pratica sempre di stessi, ossia giusta causa, giustificato motivo soggettivo e giustificato motivo oggettivo. Per maggiori informazioni a riguardo consigliamo la lettura dell'articolo "Il licenziamento: quando e come avviene", in cui sarà possibile reperire anche la relativa modulistica.
I requisiti dunque restano gli stessi. Tuttavia se il dipendente non ha commesso il fatto (ad es. nei casi di "giusta causa" e di "giustificato motivo soggettivo"), per cui il licenziamento è da considerarsi illegittimo, non scatta più il "reintegro automatico", ma il giudice può decidere se disporre nei confronti del datore di lavoro il pagamento di un risarcimento economico pari alla retribuzione da 15 a 24 mensilità, oppure ordinare il reintegro e il pagamento di una indennità a favore del lavoratore pari alla retribuzione dovuta dal momento del licenziamento.
La corresponsione di una indennità risarcitoria tra le 15 e le 24 mensilità a favore del dipendente scatta anche quando si accerta l'inesistenza dei motivi oggettivi (chiusura attività, affidamento all’esterno di alcune mansioni prima svolte in azienda, automazione della produzione, ecc.). Anche in questo caso però, se il Giudice accerta che il fatto che ha causato il licenziamento è "manifestamente infondato", in altri termini accerta che l’azienda ha camuffato con ragioni economiche un licenziamento di altra natura, può disporre il reintegro del lavoratore.
Per quanto riguarda, infine, il licenziamento per motivi discriminatori (credo politico, fede religiosa, orientamento sessuale, appartenenza ad un sindacato, ecc.) la disciplina dettata dall'articolo 18 resta sostanzialmente la stessa: il datore di lavoro, qualunque sia il numero di dipendenti occupati, è tenuto al reintegro del lavoratore, alla corresponsione di un risarcimento pari ad un minimo di 5 mensilità e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali arretrati. Con la riforma il lavoratore ha in più la facoltà di richiedere, al posto del reintegro, il pagamento di una indennità pari a 15 mensilità.
Per sapere come e quando opporsi ad un licenziamento illegittimo vi rimandiamo alla lettura di questo articolo.