Licenziamento illegittimo: quali tutele per il lavoratore

Rinaldo Pitocco - Ultimo aggiornamento: 02/11/2016

In questo articolo abbiamo introdotto il tema sul licenziamento. Abbiamo visto in particolare in quali casi il datore di lavoro può esercitare questo suo diritto e con quali modalità deve essere comunicato al lavoratore. Ma cosa accade se un lavoratore viene ingiustamente licenziato? Secondo la legge se si è in presenza di un licenziamento illegittimo, il lavoratore ha tutto il diritto di impugnare il provvedimento del proprio datore di lavoro. In questo articolo vedremo nel dettaglio in quali casi ricorre il licenziamento illegittimo, cosa può fare il lavoratore per impugnarlo e quali sono i regimi di tutela previsti dalla legge in suo favore.

Quando il licenziamento è illegittimo

Come si è già detto affinché il licenziamento di un lavoratore dipendente possa considerarsi legittimo dal nostro ordinamento è necessario che ricorra una giusta causa o un giustificato motivo (oggettivo o soggettivo).

Il licenziamento per giusta causa scatta quando il datore di lavoro rileva dei comportamenti così gravi da parte del proprio dipendente da minare in maniera irrimediabile il rapporto di fiducia che si era instaurato: si rifiuta in maniera ingiustificata di eseguire certe mansioni, si rifiuta di tornare al lavoro nonostante il medico dell’azienda lo abbia dichiarato guarito, svolge prestazioni lavorative presso terzi durante il periodo di malattia, viene accusato di sottrazione di beni aziendali, come per esempio un computer o un cellulare, ecc.

Il giustificato motivo soggettivo si differenzia dalla giusta causa in quanto la condotta del lavoratore non si ritiene così grave da consentire il suo licenziamento in tronco, ossia senza preavviso: abbandona in modo ingiustificato il posto di lavoro, minaccia i colleghi di lavoro e così via. In questi casi l’entità del preavviso varia in relazione ai vari contratti collettivi.

Il giustificato motivo oggettivo, infine, non è legato al comportamento più o meno diligente del lavoratore, ma dipende esclusivamente da ragioni di tipo economico: forte calo delle commesse, dismissione di un reparto, riorganizzazione aziendale con soppressione di certe mansioni, ecc.

In considerazione di quanto premesso, il licenziamento è da considerarsi illegittimo qualora sia:

  • privo di giusta causa;
  • privo di giustificato motivo (oggettivo o soggettivo).

Ma il licenziamento è da considerarsi altresì illegittimo quando sia privo dei requisiti formali sanciti dall'art. 2 della Legge 604/1966 (aggiornata dalla L. 92/12).

In particolare il datore di lavoro deve comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro e la comunicazione deve specificare i motivi che lo hanno determinato. In mancanza il licenziamento è da considerarsi inefficace (lettera di licenziamento per giusta causa e lettera di licenziamento per giustificato motivo).

Infine il licenziamento illegittimo si ha quando viene intimato per ragioni discriminatorie, ossia per ragioni di credo politico o di fede religiosa, dal fatto di svolgere attività sindacale o partecipare ad uno sciopero, da ragioni razziali, di handicap o basate sull’orientamento sessuale o sulle convinzioni personali del dipendente. Altresì la legge considera discriminatorio il licenziamento intimato in occasione del matrimonio o della nascita di un figlio.

In tutti questi casi il licenziamento può essere impugnato dal lavoratore, dall'associazione sindacale cui aderisce il lavoratore, da un rappresentante del lavoratore o da un terzo (ad esempio il legale del lavoratore). L'impugnazione deve essere proposta entro 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento o dalla comunicazione dei motivi, se avvenuta posteriormente. L’impugnazione deve essere fatta in forma scritta e spedita tramite raccomandata al datore di lavoro. Questa la

Il datore di lavoro può tornare sulle proprie decisioni e revocare il licenziamento entro 15 giorni dal momento in cui ha ricevuto la comunicazione dell’impugnazione da parte del dipendente. In questo caso è come se il licenziamento non fosse mai avvenuto e il lavoratore ha diritto a percepire la retribuzione maturata prima della revoca. Ma vediamo adesso quali sono le tutele previste dall’ordinamento italiano in favore dei lavoratori dipendenti nel momento in cui si verifica un licenziamento illegittimo.

Licenziamento illegittimo: tutele per il lavoratore

In presenza di un licenziamento illegittimo, il lavoratore gode di una serie tutele, previste dalla legge, che variano a seconda che sia stato assunto prima o dopo la data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 23/2015, attuativo del c.d. Jobs Act (legge n. 183 del 2014): il 7 Marzo 2015. Il nuovo decreto interessa in particolare i lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri, assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dal 7 Marzo 2015. Ma vediamo cosa accade in relazione alla data di assunzione.

Licenziamento illegittimo: lavoratori assunti prima del 7 Marzo 2015

Per il lavoratore assunto a tempo indeterminato prima del 7 Marzo 2015 trova applicazione, in presenza di un licenziamento illegittimo, la Legge 92/2012 che ha modificato il disposto dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.

Licenziamento discriminatorio, nullo e inefficace

Se il giudice dichiara il licenziamento discriminatorio (ad es. perché in violazione delle tutele previste in materia di maternità o paternità) o inefficace (perché ad esempio comunicato in forma orale), il lavoratore - indipendentemente dal fatto che risulti assunto in una azienda che occupa più o meno di 15 dipendenti - ha il diritto di essere reintegrato nel posto di lavoro e di ottenere un risarcimento per il danno subito. Tale risarcimento consiste in un’indennità retributiva per il periodo che va dal licenziamento al reintegro in azienda, che non può essere comunque inferiore alle 5 mensilità. Il lavoratore, inoltre, ha diritto al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per il medesimo periodo da parte del proprio datore. In sostituzione del reintegro nel posto di lavoro, il lavoratore può chiedere al datore un’indennità pari a 15 mensilità della retribuzione globale, non assoggettata a contribuzione previdenziale. Si parla in questo caso di tutela reintegratoria piena.

Al di fuori di questi casi, i regimi di tutela applicabili in caso di licenziamento illegittimo di un lavoratore assunto prima del 7 marzo 2015 variano in base alle dimensioni dell’impresa e al tipo di vizio che rende illegittimo il licenziamento. Ma vediamoli nel dettaglio.

Licenziamento illegittimo in imprese di maggiori dimensioni

Se il licenziamento illegittimo si verifica in un’azienda che supera le soglie dimensionali previste dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori (Legge 300/1970), ossia con più di 15 lavoratori in una sola unità produttiva (più di 5 se si tratta di impresa agricola), o più di 60 dipendenti in totale, le tutele in favore del lavoratore variano in funzione del vizio riscontrato nel licenziamento. In particolare se il licenziamento è da considerarsi illegittimo perché gli elementi o i fatti che stanno alla base del licenziamento per giusta causa (insubordinazione , rissa nei luoghi di lavoro, rifiuto di lavorare, ecc.) o per giustificato motivo soggettivo (assenze ingiustificate, violazioni disciplinari, ecc.) sono risultati di fatto insussistenti, il lavoratore ha il diritto di essere reintegrato nel posto di lavoro e di ottenere un indennizzo commisurato alla retribuzione, oltre al versamento dei contributi previdenziali per tutto il periodo dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione. In ogni caso l’indennità risarcitoria non può essere comunque superiore a 12 mensilità della retribuzione. Si parla in questo caso di tutela reintegratoria attenuata.

La stessa tutela si applica nel caso in cui i motivi che stanno alla base di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo sono risultati insussistenti.

Nelle altre ipotesi in cui il giudice accerta che non ricorrono gli estremi della giusta causa, del giustificato motivo soggettivo e del giustificato motivo oggettivo addotto dal datore di lavoro, si applica la c.d. tutela obbligatoria standard. In pratica il datore di lavoro viene condannato unicamente al pagamento di un’indennità risarcitoria la cui entità varia da un minimo di 12 ad un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione. Non è previsto, dunque, il reintegro nel posto di lavoro.

Vige, infine, la cd. tutela obbligatoria ridotta, che consiste nel pagamento di una indennità variabile tra 6 e 12 mensilità della retribuzione, quando il licenziamento viene considerato illegittimo dal giudice per carenza di motivazione o per violazione delle norme procedurali. Anche in questo caso è prevista la sola tutela indennitaria, dunque senza reintegro nel posto di lavoro.

Licenziamento illegittimo in imprese di minori dimensioni

Nel caso in cui il licenziamento illegittimo si verifica in un’azienda che non supera le soglie dimensionali previste dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori (ossia con meno di 15 lavoratori in una sola unità produttiva, o meno di 60 dipendenti in totale), quale che sia il motivo che ha originato il licenziamento, è previsto - su disposizione del giudice - l’obbligo di riassunzione del lavoratore nel termine massimo di 3 giorni o in alternativa il versamento di una indennità a titolo di risarcimento la cui entità varia – in funzione del numero dei dipendenti, dell’anzianità di servizio del lavoratore, ecc. - da un minimo di 2,5 ad un massimo di 6 mensilità. L’indennità può raggiungere le 10 o 14 mensilità a seconda che il lavoratore abbia maturato un’anzianità di servizio rispettivamente superiore a 10 o 20 anni.

Licenziamento illegittimo: lavoratori assunti dopo il 7 Marzo 2015

Come detto ai lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 andrà ad applicarsi la regolamentazione prevista dal D.Lgs. n. 23/2015, che progressivamente sostituirà quanto disposto dalle leggi 300/1970 e 92/2012. In particolare il nuovo decreto ha previsto sul c.d. contratto di lavoro a tempo indeterminato "a tutele crescenti", un nuovo regime di tutela in favore del lavoratore che si trovi ad affrontare una situazione di licenziamento illegittimo.

In virtù di questa nuova disciplina, il lavoratore ingiustamente licenziato percepirà nella maggior parte dei casi un indennizzo economico e solo in specifiche situazioni, che tra poco vedremo insieme, la tutela si estenderà anche al reintegro nel luogo di lavoro. Tale ultima ipotesi in particolare si verifica quando il licenziamento è considerato:

  • discriminatorio a norma dell’art. 15 della legge n. 300 del 1970;
  • nullo per espressa previsione di legge (esempio licenziamento della lavoratrice a causa di matrimonio o della lavoratrice madre ai sensi dell’art. 54 del d.lgs. n. 151/2001);
  • inefficace perché intimato in forma orale;
  • ingiustificabile per via della disabilità fisica o psichica del lavoratore.

La reintegrazione nel posto di lavoro si applica anche ai lavoratori licenziati da datori di lavoro che occupano meno di 15 dipendenti. Oltre al reintegro, il giudice condannerà il datore di lavoro al pagamento di un risarcimento (non inferiore alle 5 mensilità) e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. Fermo restando il diritto a percepire la suddetta indennità, il lavoratore può chiedere di sostituire la reintegrazione nel posto di lavoro con un ulteriore indennizzo economico, pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione. Ma attenzione: la richiesta va inoltrata al datore di lavoro entro 30 giorni dalla data in cui è avvenuta la comunicazione di reintegro al lavoro.

Fatta eccezione per questi casi, le tutele in favore del lavoratore ingiustamente licenziato cambiano a seconda che lui risulti assunto o meno in una azienda di maggiori dimensioni, ossia con più di 15 dipendenti in una sola unità produttiva, o più di 60 in tutte le sue sedi operative.

Licenziamento illegittimo: lavoratori assunti dopo il 7 Marzo 2015 in aziende di maggiori dimensioni
Se il lavoratore viene licenziato per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, ma poi il giudice sentenzia l’insussistenza di tali motivazioni, il datore di lavoro è tenuto:

  • a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro;
  • a versare i contributi previdenziali e assistenziali relativi al periodo;
  • a corrispondere una indennità commisurata all’ultima retribuzione e con riferimento al periodo che va dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione. Non può essere in ogni caso superiore a 12 mensilità.

In tutti gli altri casi di licenziamento individuale ingiustificato, il rapporto di lavoro si estingue e al lavoratore è dovuta unicamente una indennità che oscilla tra le 4 e le 24 mensilità (da 2 a 12, se si tratta di violazione procedimentale). Ricordiamo che queste tutele si applicano solo ai lavoratori assunti a partire dalla data del 7 Marzo 2015. Ai lavoratori già assunti prima di questa data in aziende con più di 15 dipendenti continueranno, invece, ad applicarsi le disposizioni previste dall’art. 18.

Attenzione perché se un’azienda, per effetto di nuove assunzioni a tempo indeterminato avvenute dopo il 7 Marzo 2015, raggiunge le soglie dimensionali previste dall’art. 18, a tutti i lavoratori (vecchi e nuovi assunti) si applicherà la nuova disciplina del contratto a tutele crescenti.

Licenziamento illegittimo: lavoratori assunti dopo il 7 Marzo 2015 in aziende di minori dimensioni
In aziende di questo tipo, un lavoratore dipendente che venga illegittimamente licenziato non potrà mai essere reintegrato a meno che non si tratti di un licenziamento discriminatorio, nullo, verbale e per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore. In tutti gli altri casi, il lavoratore avrà diritto esclusivamente a un indennizzo economico, così determinato:

  • una mensilità per ogni anno di servizio in caso licenziamento intimato per giusta causa, per giustificato motivo soggettivo o per giustificato motivo oggettivo. L’indennizzo non può essere comunque inferiore a 2 mensilità, né può superare le 6 mensilità;
  • mezza mensilità per ogni anno di servizio in caso di licenziamento illegittimo per mancata specificazione dei motivi che lo hanno determinato (art. 2 Legge 604/1966), ovvero, nell’ipotesi di licenziamento disciplinare, per violazione della procedura prevista dall’art. 7 della Legge 300 del 1970. L’indennizzo non può essere comunque inferiore a 1 mensilità, né superare le 6 mensilità.

La conciliazione

Il decreto legislativo 23/2015 ha previsto la possibilità per il datore di lavoro di evitare il giudizio con la parte in causa, ossia con il lavoratore licenziato, facendo ricorso all’organismo di conciliazione presente presso le Direzioni Provinciali del Lavoro (il ricorso deve essere proposto entro i 60 giorni da quando il licenziamento è stato impugnato). In questa sede il datore di lavoro può offrire un assegno circolare di importo pari a una mensilità per ogni anno di servizio, e comunque non inferiore a 2 mensilità e non superiore a 18 mensilità.

L’indennizzo non va riportato in dichiarazione dei redditi e non è assoggettato a contribuzione previdenziale. Se il lavoratore accetta l’assegno, il rapporto di lavoro si estingue alla data del licenziamento e con la conseguente rinuncia all’impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta.

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45187 - Redazione
18/04/2016
Enza, comprendiamo quanto sia difficile lavorare in un ambiente di questo tipo. Tuttavia il nostro consiglio è di assumere un atteggiamento costruttivo, chiedere un colloquio al suo datore, focalizzandosi sulle situazioni dei singoli clienti e trovando possibili soluzioni. Un dialogo costruttivo può darle senz'altro forza e buon umore. E' chiaro che se il suo datore assume un atteggiamento di chiusura e lei continua a ricevere intimidazioni, umiliazioni e vessazioni, allora si potrebbe (usiamo il condizionale) anche parlare di "mobbing", un termine con cui si identificano una serie di azioni e comportamenti che hanno come unico scopo quello di distruggere psicologicamente un proprio collaboratore e portarlo alle dimissioni. Per sapere come difendersi in questi casi, le consigliamo di leggere questo articolo.

45181 - Enza
16/04/2016
Buongiorno, lavoro da quasi nove anni presso un commercialista e mi occupo della gestione completa della contabilità di un pacchetto di aziende. Puntualmente (oramai da circa sei anni) vengo richiamata dal mio capo perchè i miei superiori gli riferiscono che non faccio il mio lavoro ed gli dicono pure che tutti i clienti si lamentano di me. Poi parlo coi clienti e loro non nè sanno nulla, anzi proprio l'altro giorno il cliente per cui mi avevano richiamata mi dice: "Enza la Dottoressa mi ha detto che sei indietro sulla mia contabilità, ma a me serve avere la situazione chiusa al più presto in quanto devo decidere sulla mia separazione da mio marito".....ed io rimango a bocca aperta, perchè circa due ore prima ebbi una discussione proprio su questo cliente e la Dottoressa riferiva al mio capo che il cliente si lamentava perchè io ero indietro....invece non era il Cliente bensì è Lei che dice al Cliente ed al mio Capo questa menzogna! Mentre stavamo discutendo per questa calugna, sono corsa a prendere il cartaceo della contabilità per dimostrare al mio capo che tutto ciò che avevo evidenziato in arancione era stato registrato! Ed il cartaceo era quasi tutto di colore arancione.....ma lui non dice niente, mi dice solo di completarla brevemente e la Dottoressa ha iniziato ad alzare la voce e dire: "Enza lo sanno tutti che sei sempre indietro....hai litigato con tutti quà dentro....fatti delle domande! Sei l'unica sempre indietro". Ed io per difendermi gli ho risposto: "Non è vero quello che dici, anche perchè un'altra mia collega quasi a fine anno aveva una contabilità tutta da fare, però nessuno le ha mai detto niente!...perchè queste corsie preferenziali?" Allora il mio capo interviene e le domanda: "E' vero??" e la dottoressa risponde che non lo sà. Non posso andare avanti così, anche perchè ho avuto diversi problemi di salute per questo stress! Cosa mi consigliate? Ho provato a cercarmi un'altro posto di lavoro ma non si trova niente! Grazie. Un Saluto.

39284 - Redazione
22/05/2015
Gabriella, la questione appare alquanto intricata. Da un lato sembra che sia stata commessa più di una violazione da parte del datore (lavoro in nero, richiesta di apertura p.iva, mancato pagamento dello stipendio, ecc.), dall'altro alcune situazioni ci appaiono poco chiare: ad esempio non capiamo a cosa siano dovuti quei 10.000 euro di cui parla o per quale motivo suo marito non abbia ricevuto alcuna comunicazione in merito al licenziamento (purtroppo non può più presentare domanda di disoccupazione). Per questo motivo il nostro consiglio è di affidarsi ad un legale di fiducia che sappia raccogliere tutti gli elementi di prova e impostare la giusta strategia giudiziaria.

39278 - Gabriela
22/05/2015
Salve..vi chiedo un aiuto..mio marito ha lavorato per uno che gli ha fatto sempre dei contratti di un mese due...poi uno indeterminato..ha lavorato anche in nero per lui senza sapere. Gli ha fatto aprire una partita iva senza che mio marito firmasse qualcosa e senza dire che quella partita deve essere chiusa (noi non lo sapevamo) e che adesso dobbiamo pagare 10 000.00 euro. In più da novembre non ha pagato neanche i stipendi. Sono 3000.00 euro che non ha pagato. In più lo hanno lincenziato da novembre senza dire niente (abbiamo scoperto 5 mesi dopo cosi abbiamo perso anche quei soldi della disocupazione) adesso possiamo recuperare quei soldi e come grazie.

31519 - Massimo
23/07/2014
e tutto molto molto utile.

28589 - Redazione
28/01/2014
Giulia, in caso di dimissioni si è tenuti a rispettare un periodo di preavviso affinché il datore di lavoro possa trovare un sostituto adeguato senza recare pregiudizio all’azienda, diversamente il datore potrebbe trattenergli in busta paga l'indennità di mancato preavviso (legga questo articolo). Per una vertenza le consigliamo di farsi assistere da un sindacato di categoria.

28587 - giulia
28/01/2014
Salve. Da un anno circa ho svolto il ruolo di cuoca ma non ho mai firmato alcun contratto. Ricevo però una misera busta paga inali che viene poi integrata dal datore di lavoro. Ho lasciato il posto di lavoro senza spiegazioni perché venivo anche vessata. Rischio qualcosa? Vorrei promuovere vertenza: come posso agire? Devo rivolgermi ad un legale per inviare una lettera a/r al datore o prima denunciare il tutto all'ispettorato del lavoro? Grazie

23268 - Redazione
26/04/2013
Sara, crediamo possa esserle di aiuto la lettura di questo articolo https://www.moduli.it/mobbing-sul-lavoro-esempi-14013, senza tralasciare quei commenti postati dalle tante persone che vivono la sua stessa situazione.

23253 - Sara
24/04/2013
Buongiorno, lavoro da 4 anni come segretaria di un imprenditore che non figura nella società ma che gestisce tutto "occultamente". Ha 85 anni e oltre ad essere anziano è maleducato, scontroso e molto arrogante. Davanti alle persone mi tratta malissimo, non rispetta gli orari di lavoro e in più non paga gli straordinari, pretende il massimo con retribuzioni minime e cosa peggiore mi sta togliendo la salute con il suo modo di fare. Data l'età (e non solo) molto spesso mi accusa di cose che non ho fatto, solo per non dire che è lui che ha sbagliato. So benissimo che questa situzione la vivono purtroppo molte persone e che visti i tempi devo tenere duro, ma io rischio di potermi trovare senza lavoro e pure senza salute se continuo così. Vi chiedo come posso tutelarmi? A chi mi dovrei rivolgere? Grazie per l'attenzione

23057 - Redazione
16/04/2013
Alessandra, i maltrattamenti sul posto di lavoro sono purtroppo un fenomeno diffusissimo (legga in proposito questo articolo “Come denunciare situazioni di mobbing”). Consigli pratici: nonostante tutto non abbandoni il posto di lavoro, acquisisca ogni possibile elemento che provi le vessazioni da lei subite, registrando le conversazioni che ha con lui, trovando colleghi disposti a testimoniare, tenendo traccia su un diario personale di ogni azione "mobbizante". Altro consiglio importante: ne parli poi con i suo medico di famiglia che, rilevato il suo stato di salute, potrà prescriverle delle visite specialistiche (ad es. da psicologi, psichiatri, neurologi) attraverso le quali certificare la sua situazione di disagio e di sofferenza. Avere un certificato medico che attesti la sua condizione è fondamentale per poter portare avanti la sua battaglia visto che il datore di lavoro è responsabile della tutela psicofisica del lavoratore.


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